Riassunto Parte Ottava del libro Architettura e Modernità

 

LA RIVOLUZIONE DELL'INFORMATICA DELL'ARCHIETTTURA. DOPO IL 2001

Da Ground Zero a oggi

 

La parte ottava del libro “Architettura e modernità” di Antonino Saggio, pp. 399-444, inizia con il capitolo “Espressioni digitali” in cui il professore si sofferma sull’evento del 11 settembre 2001. Da quel momento è nato un modo di pensare diverso. Innanzitutto ci si interroga su come usare al meglio i strumenti che abbiamo creato per rispondere alle necessità e ai bisogni. Una soluzione a questa domande deriva dall’Information Technology, una rivoluzione nel campo dell’architettura perché trasforma la crisi in valore.

Negli anni novanta del Novecento nasce il “tema del paesaggio” in cui i progettisti adottano nei loro progetti elementi caratteristici degli ambienti naturali. Un’opera emblema di questo processo è la stazione dei traghetti della città di Yokohama in Giappone di Foreign Office Architects. Il progetto è una fusione tra un parco urbano e un terminal portuale. Tutto questo è nato da una know how informatico, tecnologico e progettuale in cui gli architetti hanno avuto il pieno dominio. (Fig.1)


Fig.1 - Foreign Office Architects, International Port Terminal, Yokohama, 1995-2002

Anche architetti come Zaha Hadid, Frank Gehry, Peter Eisenman, United Architects, Ben van Berkel hanno sviluppato questa nozione di paesaggio informatico, creando un nuovo metodo di progettazione “concettualizzando la logica di sviluppo delle forme e creando sistemi generatori che costituiscono l’ossatura delle nuove architetture”.

Agli inizi degli anni 2000 la città di Barcellona è fulcro di sperimentazione architettonica “digitale”. Un’opera significativa è il Mercato di Santa Caterina di Benedetta Tagliabue e Enric Miralles (1997-2005), caratterizzata da una copertura ondulata coperta da esagoni di ceramica che insieme formano uno schermo astratto di frutta e verdura. (Fig.2)


Fig.2 - Enric Miralles e Benedetta Tagliabue, Mercato di Santa Caterina, Barcellona, 1997-2005

Sempre a Barcellona, Jean Nouvel costruisce la Torre Agbar (1999-2004), un lankmark urbano digitalizzato caratterizzato da un facciata pixellata a colori per dare l’immaginario di uno schermo. La torre presenta una doppia facciata con lamelle vetrate che servono per generare ventilazione naturale della facciata e negli uffici. (Fig. 3)


Fig.3 - Jean Nouvel, Torre Agbar, Barcellona, 1999-2004

Il gioco della superficie e la digitalizzazione, talvolta detta l’uso di schermi sulla facciata, dando maggior rilievo all’informazione e all’era in cui viviamo. Tra i primi architetti a farne uso è Ben van Berkel con il suo UN Studio a Seoul costruendo la Galleria dei grandi magazzini. La facciata proietta una superficie viva e mutevole. In totale 4.330 dischi di vetro sono montati sulla pelle di cemento esistente dell'edificio. I dischi di vetro includono una speciale lamina dicroica che genera un effetto madreperla durante il giorno, mentre durante la notte ogni disco di vetro è illuminato da luci a LED che possono essere programmate per creare una moltitudine di effetti. (Fig.4)


Fig.4 - UN Studio, Galleria Hall West, Seoul, 2003-2004

Nel 1993 Jeffrey Kipnis scrisse un saggio “Towards a New Architecture” in cui si argomenta l’idea che non è più il “folding”, il piegare, a generare la forma, ma è il diagramma, cioè spiegazione di molteplici relazioni possibili e auspicabili di un progetto, che non hanno a che vedere con i schizzi e neanche con la tipologia di per sé. “Il diagramma prefigura una serie di relazioni tra le parti di natura “topologica” e/o “parametrica””. UN Studio nel loro progetto Möbius House a Het Gooi generano la forma dal famoso anello di Möbius ∞; piegorono e ripiegarono come un nastro planare. (Fig.5)


Fig.5 - UN Studio, Möbius House, Het Gooi, 1993-1999

L’argomento successivo alla digitalizzazione è la modellazione tramite informazioni. Pioniere di questa sintassi è l’architetto Frank Gehry nell’Experience Music Project a Seattle costruita nel 2001. Lo studio ha generato molteplici modelli fisici tridimensionali per capire la forma perfetta, verificare gli spazi e il gioco di pieni e vuoti. Una volta scelto il plastico perfetto è stato scansionato, ricavando un modello digitalizzato. Il processo strutturale si muove in maniera opposta rispetto a come siamo abituati a fare e vedere. Qui, la struttura portante si adatta alla forma plastica! (Fig.6)


Fig.6 - Frank O. Gehry, Experience Musica Project, Seattle, 1999-2002

In questi anni nasce anche una nuova concezione di architettura. Gli oggetti-architettura non si posizionano in uno spazio, ma si creano relazioni che dormano e deformano insieme lo spazio e l’oggetto; diventano un tutt’uno non sono più riconoscibili contenitore e contenuto. Una domanda in questo caso nasce spontanea “Lo spazio esiste o non esiste?”. Lo spazio visto in maniera tradizionale non esisterebbe, ma siccome lo spazio è informazione esiste e genera a sua volta altre informazioni. Una caratteristica per percepire questo spazio è l’interattività con l’utente.

Toyo Ito è un grande architetto pioniere dell’architettura informatica. Nel 1986 riqualifica a Yokohama una torre dell’acqua in un centro commerciale, il quale ha anche la funzione di uno scambiatore di informazioni, questo grazie ad autoparlanti che consentono di sviluppare musica ambientale. Gli input sono i rumori della città, invece gli output sono è una musica piacevole passando per una trasformazione parametrica. Per ulteriori informazioni sull’architetto Toyo Ito  andare sul mio articolo (Fig.7) 


Fig.7- Toyo Ito, Torre dei Venti, Yokohama, 1986-1988

Elizabeth Diller & Richard Scofidio hanno realizzato Blur a Yverdon-les-Bains (1998-2002), opera emblematica nell’implicazione dell’informazione in architettura. La struttura realizzata in acciaio, non è mai uguale a se stessa. È una palafitta a forma ovale che attraverso un sistema di sensori e trasformazione algoritmica spruzza acqua nebulizzata formando una nuvola. Quest’ultima qualche volta fa vedere la prua, qualche volta il ponte e qualche volta non fa vedere la struttura stessa. Senza il processo di informazioni e interpretazione algoritmica questa opera non era possibile realizzarla. “Blur rappresenta la possibilità di un rapporto tra coscienza ambientale e sviluppo architettonico” (Fig.8)


Fig.8 - Diller & Scofidio, Blur, Yverdon-les-Bains, 1998-2002

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